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Nove lunghi anni

La fatica che ho nello scrivere queste righe, ripercorrendo quindi tutta la sofferenza, è simile a quella che ho provato in questi lunghi nove anni di malattia, sfogliando ogni volta il pesante faldone degli esami, con referti poco indicativi, nella spasmodica ricerca di una soluzione. Ma questa angoscia è ora illuminata dalla speranza. Condivido questa mia esperienza dolorosa per dare un incoraggiamento a chi, come me, ha brancolato nel buio per tanto tempo.

Ho 35 anni e ho due figli di 6 e 8 anni; i primi dolori pelvici-addominali, sono comparsi con la prima gravidanza, accompagnati da costanti contrazioni uterine e conseguente rischio abortivo e sono scomparsi subito dopo il parto. Si sono poi ripresentati in maniera più prepotente con la seconda gravidanza, ma questa volta continuando anche dopo il parto. Inizialmente tutto questo, fece pensare a qualche patologia legata all’utero e venni così indirizzata ad effettuare una laparoscopia diagnostica per accertare la presenza di adenomiosi o endometriosi. Nessuna traccia di endometriosi, un’ipotetica adenomiosi. Così cominciò il “Calvario” tra visite ed esami diagnostici (colonscopie, clisma RM, una seconda laparoscopia, TAC, PET…) e dolori cronici atroci che si diramavano dalla zona pelvica, in tutto l’addome, nella zona rettale con l’interessamento anche dell’intestino. Non mi sono sottratta proprio a nulla, ligia nell’assumere le terapie proposte, sperando di trovare giovamenti e effettuando esami e indagini spesso umilianti. Anche la terapia del dolore servì a ben poco.

Nelle fasi più critiche avevo difficoltà a stare in piedi, a viaggiare in macchina, a fare qualsiasi attività fisica che implicasse il movimento della zona pelvica. Ho trascorso metà delle mie giornate a letto, contorcendomi dai dolori. Mi sono sottoposta a cicli di riabilitazione del pavimento pelvico, perché il dolore aveva fatto contrarre tutta la muscolatura e mi sono iscritta a corsi di ginnastica vertebrale ai quali spesso partecipavo in condizioni di salute disastrose.

La situazione continuava ad essere avvilente, perché il dolore era insopportabile e non si arrivava ad una diagnosi certa e quindi neanche ad una cura. In questi anni sono stata una mamma presente per i miei figli, ma spesso angustiata da tante preoccupazioni e tanta sofferenza; sentivo quanto la pesante situazione di salute gravasse su tutta la famiglia, che fortunatamente ha sempre tifato e lottato con me.

Io e mio marito abbiamo percorso in auto tantissimi chilometri, alla ricerca di trovare un nome alla mia malattia, con bagagli di speranze, arrivando da specialisti che mi hanno proposto interventi piuttosto invasivi come l’isterectomia o la chiusura dell’aorta dell’utero, senza ovviamente garantirmi giovamento o insinuando addirittura l’eventualità di un peggioramento.

Prima di arrivare a interventi così drastici e dall’incerto esito, abbiamo deciso di arrivare fino a Roma. Il prof. Inghilleri, mi aveva già ventilato la possibilità che fossi affetta da cistite interstiziale e mi consigliò di rivolgermi al prof. Cervigni.

Appena sono entrata in studio, ho sottoposto il mio caso al prof Cervigni e Loredana Nasta, Presidente Aici onlus, e mi sono sentita subito ascoltata e capita. Mi sono state da subito ipotizzate due cose: che il dolore pelvico fosse causato dall’infiammazione del pudendo (ipotesi già ventilata in passato, ma mai accertata) e che fossi affetta da cistite interstiziale. Dall’elettromiografia, è risultata infatti un’infiammazione bilaterale del pudendo. Arrivata quindi allo stremo delle forze, e avendo sempre più difficoltà a sopportare il dolore, mi è stato consigliato di effettuare l’impianto di un neuro modulatore sacrale provvisorio, che agisse sul dolore pelvico. Durante il periodo di prova, mi sono accorta già di stare meglio e così ho acconsentito ad effettuare l’impianto del neuromodulatore permanente. In tutto questo periodo di disagio fisico e psicologico, dovuto anche alla lontananza coi medici che mi seguivano, mi è stata data tutta l’assistenza e disponibilità possibile per gestire autonomamente la situazione. A questo punto mi è stato proposto di effettuare la cistoscopia con biopsie per accertare la diagnosi; ho affrontato questo intervento, un po’ demotivata, credendo che il referto non avrebbe indicato nulla di rilevante e che sarebbe andato ad arricchire il faldone di scartoffie. Tutto questo mio pessimismo derivava dalla convinzione personale che la vescica fosse sana, non avendo problemi di incontinenza urinaria o di minzioni particolarmente frequenti.

Il 2 aprile 2014 è stato il giorno della mia rinascita; mi veniva comunicato il referto: cistite interstiziale. Certo le emozioni provate furono contrapposte: da un lato dopo nove anni si dava un nome alla malattia e dall’altro però avevo la certificazione che ero affetta da una patologia a me ancora sconosciuta.

A questo punto ho iniziato le tanto anelate terapie mirate alla vescica.

Ho appena iniziato la terapia, quindi non posso ancora dire di essere guarita, ma sento di essere sulla buona strada; la qualità di vita è nettamente migliorata, riesco a fare programmi a media scadenza, il dolore è molto meno intenso e più gestibile e sopportabile e soprattutto non continuo. Ho ancora fasi dolorose che implicano spesso anche problemi intestinali e conseguente infiammazione della zona pelvica; in questi mesi ho notato che il dolore pelvico profondo fosse legato anche alla presenza di infezioni batteriche riscontrate dai tamponi vaginali, cervicali e uretrali e come fossero d’aiuto le terapie prescritte.

Sono infinitamente grata al prof. Cervigni per avermi ascoltata e capita e da Loredana Nasta che mi ha assistito nelle molteplici difficoltà di questi mesi e aiutata nello sbrogliare i grovigli burocratici in cui sono incorsa anche per quanto riguarda l’esenzione dei farmaci costosi (che per ora la mia ASL mi riconosce solo in parte). Infinitamente grata al professore per avermi regalato finalmente mesi sereni, in cui ho potuto godere della bellezza della famiglia e apprezzare il fantastico dono della vita.

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